L’eden
Ho sistemato le cose come se oggi fosse l’ultimo giorno poi
ho svuotato la scatola nell’acqua insaponata per far schiumare i preservativi e
nell’attesa guardo la televisione. C’è la solita interminabile puntata sul Colosseo,
si vedono gli spalti gremiti, gran vociare del pubblico con ola cantate
inframmezzate d’urla collettive in osanna agli sgherri che stanno spingendo i
cristiani sparpagliandoli nell’arena. I venditori di bruscolini si fan largo
nella ressa gridando le qualità della loro merce, dall’alto piovono monetine
che il divino Nerone si degna d’offrire al suo amato popolo, il giubilo sale
alle stelle, nella calca indemoniata si accendono le zuffe tra le borgate, il
fracasso copre a malapena i gemiti degli accoltellati e le frustate degli
sgherri che insanguinano i cristiani per renderli “appetitosi” passano in
secondo piano. Come vento impetuoso che annuncia la tempesta rullano i tamburi
seguiti da un gran soffiare di trombe.
Il frastuono s’interrompe di colpo seguito da un silenzio di tomba, tutti
gli occhi puntati sull’arena: entrano i leoni.
Lo spettacolo continua mentre srotolo i preservativi sul
manganello, ce n’è uno con lo sperma denso come stracchino chiazzato da
venature sanguigne dal pungente odore di putrefazione che stenta a venir via, gli
scolo sopra un pentolino d’acqua calda con molto detersivo per scioglierlo ma
niente da fare, provo a raschiarlo con la spugna, è duro, sembra gomma e si
appiccica formando filamenti bavosi che
si allungano senza staccarsi, mi spiace rinunciare al pezzo, è nuovo ed i soldi sono così pochi, faccio un
ulteriore tentativo cospargendolo di
svitol, finalmente viene via, lo sgrasso bene col sapone e passo
all’altro, il lavoro procede e mentre i leoni digeriscono i cristiani divorati
stendo i preservativi per asciugarli.
Verso il tramonto, aria calda e umida con grossi nuvoloni
neri che coprono il cielo, sulla strada traffico intenso per il rientro dei
lavoratori, una bella farfalla dai colori vivaci mi accompagna lungo la strada
saltellando di fiore in fiore.
Al solito posto la dea non c’è, la scorgo poco più sotto, sul
prato, andare su e giù traballando sui lunghi tacchi degli stivali in preda
alle furie. Urla parole incomprensibili nella sua lingua agitando tra le mani
una banconota da venti euro, ci sputa sopra, l’appallottola e la getta a terra,
la raccoglie per riaprirla e risputarci sopra e rigettarla a terra per
calpestarla, di tanto in tanto frammezza parole in italiano e si sentono
bestemmie e maledizioni, impreca contro il cielo, la terra, contro tutto.
Aspetto che la furia si plachi poi mi faccio avanti: “Che
succede?” le chiedo.
“Ci mancare solo tu!” grida in risposta, “questo essere mondo maledetto, nessuno
rispettare puttane, tutti volere fregare, tutti fare quello che volere e se
cercare aiuto polizia tirare fuori cazzo per succhiare e fregare anche soldi, cosa
essere puttana bestia come cane da prendere calci e bastone? Che dio li
maledire, che diavolo mangiare, che morti uscire da tombe e prendere!”
L’ho già vista così e sempre per questioni di soldi, potrebbero
massacrarla che non direbbe niente ma per un centesimo sarebbe capace di
uccidere. Raccolgo il venti da terra e lo controllo, al posto della firma del
governatore c’è la scritta: “Fac simile per stampa”, per il resto
sembra vero.
“Questa è la causa, tutto qui?” le chiedo.
“Come essere ti sembrare niente?” la rabbia le storpia le
parole di bocca e la furia riprende: “Io essere povera puttana, cosa lavorare
se non per soldini, io dovere mangiare, non avere altro che mio corpo da
vendere, cosa mangiare adesso? tutti fregare, imbrogliare, rubare, dove essere giustizia, volere vedere
morire di fame? Adesso cosa fare?” inizia a piangere e cambia tono di voce, in
falsetto: “Avere bambini a casa che aspettare mamma con spesa per mangiare, dovere
pagare vestiti, scuola, giocattoli, adesso come fare, cosa dire lui?”
Sembra in trance, completamente metamorfizzata, un’altra.
“Non sapevo che avessi famiglia, non ne hai mai parlato.”
Smette di piangere, si guarda intorno spaesata e riprende a
parlare con la solita voce: “Cosa dire tu, quale famiglia dire? io non avere
detto niente, tu non avere sentito, io pazza.”
“Come vuoi, però prendersela così per venti euro, un pezzo
di carta, è niente, gli altri clienti ti hanno pagata?”
“Cosa essere pagare? Io…”
Sta di nuovo per piangere: “Dai, tirati su, sorridi, guarda,
ti regalo questi.” dico, porgendole la busta con i preservativi puliti. “Sono
ottantadue.”
“Tu regalare veramente?” mi strappa la busta dalle mani e la
mette nella borsetta quindi dà un calcio ai venti euro falsi, si solleva la
minigonna e si china per pisciarci sopra, si alza e si incammina verso la
strada. Prima di sedere alla sua seggiola prende una scatola da sotto un
cespuglio e me la porge: “Toh, essere sessantotto, con questi ti rifare.”
“Hai avuto sessantotto clienti e fai tante storie per quella
miseria?”
“Cosa essere miseria? Tu non sapere, a paese avere
dissotterrato nonno per mettere in cimitero, adesso nostra famiglia essere a
posto, essere buona gente ed in villaggio più nessuno ridere, sai cosa
costare?”
“E i tuoi bambini?”
Arrossisce come arrossiscono i negri ed abbassa gli occhi:
“Io non avere bambini, essere l’altra.”
“Tua sorella?”
“Non essere sorella, essere l’altra…” fa un gesto con le
mani intorno alla testa e continua:
“Questo essere mio sogno, non volere parlare.”
Sullo sfondo, dove la strada gira per scomparire allo
sguardo un chilometro più giù sul piazzale di fronte ci sono dei camion fermi e
parecchie persone indaffarate al lavoro. La dea, seguendo lo sguardo, dice:
“Montare luna park per festa paese, oggi uno venuto a fare succhiare cazzo e
avvisare, fare buoni affari con loro, piacere puttane e tu, oggi volere fare
regalo, dare solo dieci euro, andiamo?
“lo sai che non posso!”
Le dita della sera iniziano a scurire i contorni della scena,
il traffico è tornato normale, nell’aria stormi di gabbiani fan schiamazzi
sorvolando il fiume.
Mentre rientro sventolando la borsa dei preservativi
sborrati ricordo di aver regalato quelli puliti alla dea. “Bel cretino sono
stato” dico a me stesso, “quella magari fingeva proprio per non pagarli, adesso
che mangerò, dovrò fare i soliti spaghetti…”
Contra punctum.
Parole come fuoco da plasmare qua e là, i due mondi del non
essere si formano uno negando l’altro in un pendolo all’apparenza perpetuo, il
tempo immobile scorre zoomando la data al presente, il giorno uno della
creazione, l’inizio, la causa prima non si è evoluta in oggi e giace
mummificata dal peccato originale nel ventre della superstizione.
Camminavamo sui cumuli di ossa che si disfacevano sotto i
nostri piedi tornando alla polvere da cui avevano origine. A una decina di
metri dal laghetto, formando un cerchio intorno a questo, distanziati come le
ore su un orologio, c’erano dodici sarcofaghi ed ognuno emanava un intensa luce
fosforescente. Uno, più grande, era sistemato ai bordi di una strada di sabbia
battuta o forse di ossa che rifletteva la luce verso un’ apertura della grotta
da cui usciva un bagliore intenso e tremolante. Altrettante strade si
diramavano da ogni coppia di sarcofagi a raggiera verso le pareti e terminavano
in aperture più piccole della principale, oscure come buchi neri.
In quel momento ci colse il dubbio di essere morti e di
essere entrati nell’anticamera dell’inferno, fortunatamente fu solo un attimo
fugace, il dolore per il pugno violento che ci demmo in pieno viso per
accertarlo ci tolse ogni incertezza.
Ci avvicinammo al più grande. Aveva forma rettangolare, liscio,
dello stesso tufo pietroso delle statue, era aperto e la luce usciva come un
fuoco fatuo dal suo interno biforcandosi ed unendosi ad arco verso l’alto con
quella dei sarcofagi vicini. Al suo interno giaceva una mummia, le fasce erano
diafane e rossastre come sangue rappreso da miliaia e miliaia di anni.
Grande fu la nostra sorpresa nel trovare una pagina che
sembrava strappata dal libro che avevamo lasciato a Giza. Il foglio recava un
messaggio, le parole erano in italiano corrente ed il sangue con cui erano
scritte era ancora fresco:
Bastardo!
Questa è la tomba di Adamo,
benvenuto nell’Eden.
Qualcuno stava precedendo i nostri passi, chi, come? Ricordammo
la figura del rabbino che ci sembrò di scorgere quando entrammo nel cubo, possibile?
Sul pavimento le tracce del nostro passaggio erano chiare ma
oltre a quelle non se ne vedevano altre. Il mistero sembrava insolubile, in
quel momento non sapevamo ancora di essere usciti da quel che credevamo essere
il mondo e ragionavamo in termini di bene e di male sdoppiando ogni significato
apparente.
Comunque ragionavamo e lo sapevamo fare bene.
Analizzammo il messaggio parola per parola. “Bastardo”, a
chi si riferiva? Avvertimmo il doppio senso nel nome, bastardo è l’uomo dalle
due nature, maledirlo è negarlo, se non è essere è non essere, se non è vivo è
morto, Adamo al fango del suo corpo sommava la parola di dio ed ora questa mummia…e
l’eden, un pavimento di ossa.
Il significato era evidente, tralasciammo di investigare su
chi avesse lasciato il messaggio certi che prima o poi l’avremmo incontrato e
cercammo nel bagaglio della nostra esperienza segni che ci indicassero la
strada da seguire.
Nel libro Omer, distrutta la statua, rimane murato vivo
nella prigione e l’immagine di Ixo si
trasferisce nella sua mente. La realtà si è invertita, lui è diventato una bara
vivente nel cui interno l’occhio dell’indovino lo invischia ed avviluppa alla
statua in una ragnatela da dove non riesce più ad uscire. In finis un mostro
dal volto di donna ed il corpo di bestia spalanca le fauci ed inghiotte tutto.
La descrizione del mostro rappresenta la Sfinge ed
interpretammo che la porta per penetrarla andasse cercata altrove, non
all’esterno di essa ma al suo interno, che entrare era uscire.
La sensazione di essere “un altro” ci inquietava ma ormai lo
spazio aveva stravolto i suoi limiti ed il ripetersi degli avvenimenti e dei
personaggi aveva trascinato al presente sia Omer che il prete indovino ed ora
eravamo un unico oggi.
I pensieri nella nostra mente scorrevano senza ordine ma sembravano concatenarsi verso una meta
precisa. Ricordammo particolari del libro di Scoto Allegrus che prima ci erano
sfuggiti, scrive di Giuseppe d’Arimatea che portò il Graal, la coppa contenente il sangue di Cristo, in
Inghilterra e dice che la leggenda va tradotta dal suo significato apparente al
reale.
Descrive la coppa come una di quelle torce usate dagli
antichi greci per trasportare il fuoco sacro della civiltà d’origine quando se ne staccavano per andare
a formare nuove colonie. Dice che quel fuoco è ancora acceso e nutre il sangue
che lo ricopre impedendogli di coagulare. Naturalmente smentisce la credenza
considerandola una trasposizione letterale di un mito già presente in
Inghilterra quando le belle foreste d’Albione erano popolate solo da briganti, parla
di un getto del fuoco sacro che in un’antichità dimenticata dagli uomini fu
salvato dalla distruzione di Atlantide per essere trasferito altrove e che
questo mito è conservato nella tradizione orale di ogni popolo.
Dove e come questo fuoco sia stato portato non lo sa ma
teorizza un modo per rintracciarlo ripercorrendo all’indietro la storia ed
interpretandola al di fuori del bene e del male, cioè del bestiale perbenismo
introdotto da una plebaglia rozza ed incolta vestita coi begli abiti di preti, nobili
e dotti ammaestrati.
Scrive che il sangue che ricopre la fiamma sacra rappresenta
il cannibalismo della razza preumana e che questa civiltà nascosta nel
linguaggio si nutre degli esseri umani allo stesso modo del sangue di cristo
con il fuoco del Graal.
Le sue ricerche lo avevano portato vicino alla meta ma fu
tradito dal barone che lo ospitava che lo consegnò ai preti per il rogo. Trovò
il fuoco ma non quello che cercava o chissà, anche questa storia è da
interpretare ed il significato potrebbe essere altro.
L’assonanza tra cristo e Ixo ci fece riflettere ma
rimandammo le conclusioni riprendendo a considerare il messaggio trovato
sulla mummia. Qualcuno anticipava le
nostre mosse e sembrava indirizzarci, ci stava usando e quel qualcuno, chiunque fosse, potevamo essere noi vissuti in un’altra
esistenza trascinati al presente in uno sdoppiamento di bene e di male.
La conclusione ci soddisfaceva ma non avemmo tempo per
congratularci, dal sarcofago di Adamo si stava alzando una nebbia fluorescente
e lattiginosa che si spargeva a terra allargandosi in ogni direzione.
Ora la leggerezza ci fa sorridere, fuori dalla scienza del
bene e del male ogni numero è un numero ed il significato pura osservazione
immune dal virus del giudizio.
Il tempo sembrava essersi fermato in un unico istante nel
cui interno millenni interi uno dopo l’altro rotolavano a valanga all’indietro,
non era materia, erano suoni, parole sussurrate, gemiti, risa sguaiate, pianti,
urli di pazzia, i suoni acceleravano in un’iperbole di immagini dove
contemporaneamente ripassavamo tutte le vite precedenti, in ultimo si sentì il
vagito di un bambino appena nato e subito dopo la parola uscì dalla materia e apparve
la bestia.
La nebbia usciva tumultuosa spargendosi in una nuvola
luminescente che in pochi attimi ci avvolse. Provammo un’ atroce sensazione di
soffocamento ma riuscimmo a contenere il panico, ci immobilizzammo in attesa
fin quando il cuore tornò a pulsare e l’aria a scorrerci nei polmoni. Intorno
al nostro corpo si era formato un involucro di vuoto che ci isolava
dall’esterno.
La sabbia si alzava in vortici roteando intorno alle ossa
che si stavano sollevando da terra scorrendo all’indietro nel tempo e le
ricopriva di muscoli, nervi, pelle, in
breve tutta la grotta fu un brulicare di vita.
Le pareti si stavano allungando verso l’alto cambiando forma,
in breve ci trovammo all’interno di una immensa piramide triangolare con la
punta tronca, sul soffitto si aprì un triangolo di luce e proprio quando
alzammo la testa per guardarlo il sole iniziò a coprirlo illuminando a giorno
la grotta.
Nell’ora che il sole impiegò per uscire dalla visuale del
foro assistemmo ad uno spettacolo indimenticabile. Scoto Allegrus citando i
Mirmidoni aveva teorizzato che la forma preumana vivesse sottoterra in una
società simile alle formiche e si concentrasse in enormi fosse sopra alle quali
costruivano con i materiali di scavo delle piramidi.
In queste fosse vivevano i dominanti maschi e femmine ed
erano quest’ultime ad avere la supremazia, esse rappresentavano il nucleo di
riproduzione della specie.
Sembrava di essere in un ospedale di campo dopo una
battaglia e non tardammo a capire che invece ci trovavamo in un bordello
ristorante organizzato in modo perfetto dove la carne umana rappresentava
l’unico piatto cucinato e servito in tutte le salse.
Il pavimento si era leggermente inclinato ad imbuto verso il
centro e dove prima era il laghetto ora ribolliva una scura poltiglia
sanguinolenta da cui scaturiva un’apparenza di fuoco mefitico che profumava
acremente di metano e a intervalli regolari era scosso da improvvise e violente
fiammate.
Sull’isolotto degli ominidi completamente fasciati da pezze
di papiro irrigidite da sangue rappreso
stavano impalando un ominide castrato che squittiva come un sorcio,
intorno un coagulo di ominidi ruzzolavano nella poltiglia fosforescente grugnendo
ed abbaiando, ambo i sessi simili a grossi gorilla glabri con la pelle incrostata
di fango e sterco.
Nonostante le apparenze i nostri progenitori si trattavano
bene e non si facevano mancare gli agi. Tutto il pavimento era cosparso di
merde pestate che lo rendevano soffice e caldo come una moquette pregiata e
rivoli di orina mista a sangue scolavano gorgogliando allegramente verso il
lago.
Sguazzando su quel morbido tappeto, centinaia di corpi si
dimenavano in amplessi bestiali con
attorno femmine sole in smaniosa attesa che
sfogavano l’impazienza scatenandosi in danze bestiali dove pestando il
pavimento con mani piedi ed i grossi culi schizzavano merda dappertutto.
Il
lazzaretto
Nella ridda, completamente fasciati da garze insanguinate, si
muovevano trascinandosi come lebbrosi delle mummie ognuna portando un cesto di
rami intrecciati con dentro pezzi di corpi appena macellati, fegati, polmoni, interiora
fumanti, teste scraniate col cervello scoperto, cuori ancora palpitanti e si
potrebbe continuare, venivano fatti cadere e subito dopo i dominanti si
gettavano sul cibo divorandolo con mandibole da far invidia ai lupi.
Il piatto forte sembrava essere costituito proprio
dalle mummie, qualcuna non si rialzava, i dominanti le sfasciavano mangiandone
prima le garze incrostate e poi si gettavano sui corpi che dovevano essere
stati in precedenza spellati vivi e senza le fasciature trasudavano sangue e
pus dalle croste strappate, dall’avidità con cui venivano leccate presumemmo
che fosse una vera e propria leccornia. Qualcuna era divorata completamente, qualcuna
si rialzava con i muscoli e nervi scoperti ancora sanguinanti e guaendo e
correndo a quattro zampe si allontanava verso la periferia della grotta, quasi
si vergognassero di essere nudi.
Camminavamo senza incontrare resistenza, al nostro passaggio
i corpi svanivano come ombre per rimaterializzarsi subito dopo.
Sui lati della piramide ferveva un’attività frenetica, sulle
pareti ovunque fino in cima erano collocati dei palchi da cui si affacciavano
gruppi di femmine gravide a guardare lo spettacolo e tutte schiamazzavano a
squarciagola.
La nostra bocca era spalancata dallo stupore quando vedemmo
un oggetto che stonava in quell’ambiente raffinato. Aguzzammo la vista per
guardare meglio, miraggio nel miraggio, ad un centinaio di metri da noi c’era
una figura di marmo bianco e luminoso che spiccava aerea sull’orgia dei
cannibali.
Riconoscemmo subito i tratti della statua di Omer, della Ixo
che avevamo lasciato a Giza.
Il
lazzaretto
La ragione vacillava ubriaca, dove, come? Un’allucinazione, un
sogno delirante probabilmente causato dai vapori della pozza o dall’acqua che
avevamo bevuto. Mantenemmo il controllo facendo appello a tutta la nostra
professionalità decidendo di giocare quella partita mantenendoci estranei alla
magia dell‘apparizione. Ci dirigemmo verso la statua. Questa rimaneva immobile
ma ad ogni passo che facevamo si allontanava di altrettanto. I raggi che
illuminavano la grotta abbagliavano e non permettevano la visione dei
particolari a distanza. Il vertice tronco della piramide sembrava un immenso
occhio triangolare nel mezzo del quale ardeva il sole.
Una musica di gemiti, ruggiti, urla strozzate vociavano tra
loro con timbri e tonalità che aumentavano e calavano di volume al ritmo del
nostro respiro.
La base della piramide aveva un lato più corto leggermente
convesso e gli altri due si allungavano verso un vertice smussato simile alla
prua di una nave dove c’era un apertura nel pavimento con un gran via vai di ominidi.
Quelli che entravano avevano i corpi completamente ricoperti
di piume e penne multicolori incipriate da una polvere biancastra ed odoravano
fortemente di urina, erano trasportati
sulle spalle da grossi scimmioni muscolosi fasciati da strisce di cuoio lucide
e nere che avanzavano saltellando al piccolo trotto. Alcuni ci passarono vicini
soffiando e grugnendo con occhi bestiali.
Quelli che uscivano correvano a quattro zampe ed erano
spennati e incrostati di merda.
Associammo il fatto alle ricerche che avevamo fatto nei
teocalli messicani sulle orme di Quetzalcóatl ed ai miti greci di Leda e il
cigno e dei centauri, evidentemente ogni tipologia della specie preumana doveva
rappresentare un analogo animale rispecchiato in natura, come nel pantheon di
divinità egizie o nella sfera ideale di Platone.
In ogni caso i nostri progenitori avevano gusti raffinati
anche in campo di moda e si pavoneggiavano a cavallo con le femmine.
Ormai avevamo capito che quegli esseri non potevano vederci
e ci muovevamo in sicurezza, oggi nella visione di ieri.
La piramide era divisa in settori simili alle navate di una
cattedrale, la statua procedeva a distanza invariata e sembrava farci da
cicerone.
Superata la parte centrale entrammo in una zona meno
frequentata, c’erano ominidi piumati che danzavano, ognuno aveva un seguito di
mummie con prigionieri legati ed i maschi invitavano le femmine a servirsi
delle prede. Ce n’erano con cisti enormi gonfie di pus, con parti del corpo
squartate brulicanti di vermi, con vesciche gonfie di sangue.
Le femmine erano completamente fasciate da fette di grasso
ricoperto da un fitto piumino che gonfiava i loro corpi rendendole simili a
vacche e non si facevano pregare, sorbivano pus e sangue con rudimentali
cannucce d’osso, leccavano i vermi con avidità ma le prede preferite erano i
cuccioli maschi che si contendevano a forza e a cui poi strappavano a morsi i
genitali che masticavano e inghiottivano con piacere estatico e spruzzi di
sangue.
Soddisfatto lo stomaco le femmine si prendevano il campione prescelto e tra le
urla e gli schiamazzi di questo si dirigevano al centro dove avveniva un fatto
straordinario: la polvere che ricopriva
le penne a contatto con i vapori del lago iniziava a sfrigolare di elettricità
e prendeva fuoco trasformando i maschi in torce viventi. Avvampando si gettavano sulle femmine che li
accoglievano avviluppandosi alle fiamme, il fuoco scioglieva gli strati di
lardo e bruciava il piumaggio spogliandoli e mettendoli a nudo per l’accoppiamento dove si spegnevano nel
fango fecale.
I particolari di una società complessa indirizzata
all’evoluzione ed al contenimento della specie sono infiniti, la visita
proseguiva sul pennello dell’ironia, superammo quella zona per entrare nelle
“cucine” che occupavano le navate lungo i due lati lunghi della piramide.
Nell’interno di un formicaio ci sono formiche “modificate”
che si dispongono in modo naturale a eseguire compiti diversi, Scoto Allegrus
citando Eaco ed il popolo di Achille aveva visto giusto, la regola è universale,
la legge naturale si riflette in tutte le specie una e ognuna a suo modo, i
nostri progenitori, come i leoni e le tigri, amavano la carne viva, il sangue e
non conoscevano pietà.
Il giro fu vorticoso, un volo sul macello, la predigestione
del cibo. Ora ci possiamo permettere di riassumere i fatti in una cronologia
razionale ma in quei momenti stentavamo di fronte a tanta perfezione, l’organo
di riproduzione della specie era uno spettacolo unico e affascinante.
Le vittime erano prese in consegna all’ingresso su ambo i
lati ed erano inizialmente appese per i calcagni a sostegni posti sulle pareti
e spellate vive. Le mummie incaricate del lavoro erano esperte, recidevano la
pelle a morsi e poi la sfilavano a strisce arrotolandola su delle bacchette.
Queste mummie dovevano rappresentare una fascia intermedia tra i dominanti ed i
castrati, tra il nucleo di riproduzione ed il cibo, erano dappertutto, indaffaratissime
e tra loro vigeva la regola che il più forte comanda, i più deboli servivano a
tavola e spesso facevano parte del menù.
Dopo lo scorticamento che doveva essere solo parziale e non
toccava punti vitali le vittime rimanevano ben vive e subivano le più svariate
trasformazioni, chi veniva frollato a bastonate, chi sventrato e servito legato
su assi con le interiora scoperte e fumanti, chi scraniato, impalato o fatto a
pezzi e servito caldo, le mummie possedevano tecniche per far gonfiare sacche
di sangue su ogni parte del corpo, le vittime che meglio si prestavano erano
lavorate per giorni, c’erano reparti
adibiti a cantina con ominidi gonfiati da sacche sanguigne che venivano
“spillati” a richiesta dei commensali e portati in tavola. Le vene annodate
erano recise a morsi e bevute direttamente alla bottiglia.
Rimando ad altra data la descrizione dei particolari, forse
il tempo di una vita non basterebbe ad elencarli, la statua continuava a
procedere e noi avanzavamo seguendola a distanza, sempre la stessa.
Non tutte le vittime venivano digerite. Ce n’erano alcune
che dopo la spellatura riuscivano a fuggire ai cuochi e correndo come fulmini
zigzagando tra mummie e dominanti che cercavano di ghermirli riuscivano a
rifugiarsi sul lato corto al fondo della grotta dove c’era una zona franca, una
specie di sancta sanctorum separato dalle cucine, un
lazzaretto popolato esclusivamente da mummie.
La statua precedeva i nostri passi estranea come noi alla
visione, avevamo l’impressione che fosse non nella grotta ma stampata
all’interno dei nostri occhi e la vedessimo proiettata fuori come avviene nelle
lanterne cinesi. L’occhio del sole al foro stava calando ed allungava le ombre.
Il lazzaretto era infossato in una conca ovale che comprendeva
tutto il lato corto per una distanza di circa mezzo chilometro, era costruito a
immagine della piramide in proiezione ortogonale e come in altezza il vertice
della piramide cadeva perpendicolare al centro della grotta l’ingresso
principale alla base cadeva perpendicolare al suo.
In quel momento notammo la presenza di altre due gallerie
poste ai lati del lazzaretto, più piccole, anche queste percorse da un via vai
continuo in uscita ed in entrata. La statua entrò in uno di essi e noi come
calamitati la seguimmo.
La galleria era larga una decina di metri e dopo un breve
tratto in discesa continuava in piano per un lungo rettilineo il cui fondo si
perdeva nell’oscurità probabilmente diretta al circuito sub africano teorizzato
da Scoto Allegrus o all’esterno o ambo i casi. I flussi erano costituiti per lo
più da mummie piccole e tarchiate molto muscolose avvolte da fasce simili a
cuoio lacere e infangate in entrata
mentre in uscita sembravano rimesse a nuovo. Vedendone alcune intente a scavare
un lato del tunnel le classificammo tra gli ominidi costruttori e capimmo anche
l’utilità del rivestimento quando una femmina giovane saltò fuori da un incavo
della parete e si avventò su uno di essi. Le fasce lo protessero dai morsi e
riuscì a liberarsi di forza fuggendo poi a gambe levate. Alla femmina rimase un
brandello di cuoio che inghiottì in un solo boccone.
I costruttori erano senza denti e masticavano in
continuazione pezzi di cuoio che si strappavano dalle fasce. Il rumore della
masticazione variava da tipo a tipo e produceva suoni che si armonizzavano tra
loro in un concerto che echeggiava rimbalzato dalle pareti della grotta
mescolato al passaggio di grosse mummie che arrancavano a quattro zampe
trasportando sulla schiena panieri carichi di foglie, cortecce e radici, da
altre ricoperte di scalpi dai peli neri ed arruffati che dovevano essere
infestati da parassiti e si grattavano in continuazione strofinandosi alle
pareti o andavano avanti ed indietro a casaccio seguendo i passanti a cui
cercavano di addentare pezzi di cuoio e da rari dominanti piumati che avanzavano
in entrata a cavallo con passi spavaldi che battevano il pavimento a ritmo di
carica ed in un uscita appiedati e
completamente spennati correvano a quattro zampe scompigliando le file ordinate degli
scavatori.
Ci fu un attimo di pausa al passaggio di una lunga fila di
mummie che trascinavano sulle spalle legati a croci corpi nudi ed insanguinati
da portare al macello scortati da ominidi avvolti da fasce di cuoio nero e
armati di clava che pestavano i piedi
facendo schioccare il pavimento. La musica cambiava e riprendeva il
solito via vai, un immenso organo che si cibava di carne e scaricava merda e
scorregge, continuamente, senza sosta.
In quel momento notammo delle nicchie poste nelle pareti
come vetrine di negozi su ambo i sensi del percorso, in ognuna c’era una giovane femmina acquattata
come una leonessa in agguato ad osservare il traffico, altre intente a divorare
prede catturate, ce n’era una
completamente nera di pelle che trattava con un tipo che sembrava estraneo a
quel mondo e si scambiavano preservativi ma non avemmo tempo per soffermarci
sul particolare, la statua di Ixo era tornata indietro ed era rientrata nella
grotta.
Un quarto di sole faceva capolino dal foro in alto, l’attività
era al culmine, probabilizzammo che avessero solo quell’ora di luce per
svolgere i loro affari.
Passammo all’interno del lazzaretto, c’erano mummie di tutti
i tipi, ovunque pendevano pezze di pelle e di lardo macchiate da geroglifici di
sangue ad asciugare, nel centro c’era una grande conca colma di orina dove
erano immersi i rotoli provenienti dalle cucine, altre dove maceravano foglie e
cortecce, reparti gremiti da mummie che polverizzavano ossa fregandole contro
lastre di roccia granulosa, c’erano zone ospedale sartoria dove le mummie
venivano accuratamente rivestite o riparate, assistemmo agli scambi con l’esterno e con le
cucine, vedemmo il deposito sotterraneo dove erano stipati i rotoli di pelle
conciata, poi il sole uscì dalla visuale del foro e tutto piombò nell’oscurità.
La statua di Ixo splendeva fulgida illuminando la galleria
principale dove ci dirigemmo senza perdere tempo.