P a s s i m …
Ho messo una musichetta allegra, mentre l’acqua scaldava ho
visto l’idea di una partita a scacchi tra bianchi e neri ed intanto ragionavo
sul percorso del cibo tra la bocca ed il culo frammezzando pensieri cretini sul
bene ed il male a cui non davo peso.
Un giorno così, nulla di particolare e tanto meno di
universale, nuvole pigre nel cielo appannato di smog, alberi sonnacchiosi ed
erba che cresce pian pianino… nessuna propensione alla poesia, i preservativi
sono ancora nella scatola in una poltiglia di sperma che il caldo inizia a
rendere maleodorante.
Il lavoro va fatto subito, aspettare peggiorerebbe le cose, va
fatto bene, su queste cose la dea non transige e poi ci tengo a fare bella
figura, la voce si è sparsa e conto di fare nuove clienti e ingrandire
l’attività.
Per prima cosa svuoto il contenuto della scatola così com’è
dentro una vasca piena di acqua tiepida e detersivo, operazione che chiamo
“Schiumaggio” e li lascio in ammollo una mezzoretta per far sciogliere
eventuali incrostazioni quindi inizia il lavoro vero e proprio.
I primi tempi usavo i guanti poi l’abitudine ha fatto virtù
ed ora è un gioco da ragazzi. Ho fissato un manganello di gomma alla vasca
sotto un rubinetto, prendo un preservativo, lo scrollo, lo rovescio e lo infilo
nel manganello srotolandolo completamente e lascio che l’acqua gli scorra sopra,
certi spermi sono densi ed appiccicosi e per staccarli devo fregare con una
spugna, fortunatamente i più vengono via con una semplice passatina delle dita
ed il lavoro scorre veloce. Finita l’operazione lo srotolo sfilandolo dal
manganello e lo rinfilo dall’altra parte e ripeto la trafila, quindi lo immergo
in un’altra vasca con acqua tiepida senza detersivo. Una volta passati tutti, operazione
che chiamo: “Sgrossaggio”, li riprendo
nuovamente uno ad uno e li rilavo avanti e dietro ma questa fase si fa in
fretta ed uso direttamente le mani senza
infilarli nel manganello. Terminata l’operazione di “rifinitura” li stendo all’ aria su un filo
pinzandoli con della mollette. All’asciugatura segue la “Riarrotolatura” e la pinzatura nelle
bustine. Ecco fatto!
Naturalmente non sono come i nuovi ma a questo provvede la
dea sul momento distraendo il cliente mentre li infila. Certi preservativi, non
dico la marca per non fare pubblicità, vengono riciclati nove, dieci ed anche
più volte, poi bisogna buttarli.
Mezzogiorno. A quest’ora la dea, se il lavoro glielo
permette, si concede una pausa pranzo ed è il momento migliore per incontrarci.
Arrivo in anticipo di qualche minuto e lei non c’è, aspetto
fin quando la vedo venir fuori da una macchia d’alberi in fondo al sentiero
dove riceve i clienti senza macchina. Un uomo la segue, anziano, magrolino con
la barba e spessi occhiali da presbite, ha l’aria soddisfatta e colpevole, passa
senza guardarmi e si allontana lungo la strada a passi veloci.
La dea, con la voce ansante, dice: “Che giornata oggi!
Essere cuccagna, non stare ferma un minuto, guarda…” scosta un cespuglio vicino
e tira fuori una scatola colma di preservativi sborrati. “Essere sempre così
fare presto pagare tombe.”
“Sono felice per te, ecco, qui ci sono quelli nuovi.”
rispondo porgendole una busta.
“Fare tutto bene? Prima trovato uno con taglio e quello non
pagare, tu dovere fare meglio e poi io dare troppo, tu sfruttare, io volere
cambiare e dare meno.”.
“Su questo non voglio discutere, ti faccio risparmiare un
euro al pezzo ed a una media di sessanta al giorno quello che mi dai è proprio
una miseria, dovresti pagare di più, lo merito!”
“Tu dire male, volere fare pappa adesso? Con me non
attaccare!”
“Quale pappa, scherzavo, però sui soldi non mi va di
scherzare, voglio di più!”
La dea rimane qualche secondo pensierosa e con tono materno dice:
“Tu essere proprio scemo o fare? Io capire, non parlare più.”
Prende la busta e mi paga quelli di ieri meno uno poi
porgendomi la scatola sborrata dice: “Qui essere settantanove, controlla! Adesso
fare pausa, mangiare, basta parlare di soldi.”
“Allora vado.”
“Dove andare? Aspettare, oggi allegra, volere parlare.”
prende due panini ed una bottiglia d’acqua da sotto un cespuglio e ci sediamo
sull’erba all’ombra di una grande quercia. L’aria è calda, afosa, impolverata
dalla strada, al rumore del traffico si aggiungono i grilli, cicale, cinguettii
vari ed il gracchiare di un trattore in un campo vicino. Intorno l’erba ed i
fiorellini di prato sono tutti calpestati.
Il suo corpo è esuberanza di…non so se esiste la parola, bisognerebbe
coniarla, un quid di sesso, peccato, animalità femminile insaziabile trattenute
da un senso di colpa invisibile che le fodera come fa la pellicola di una bolla
di sapone con il soffio che l’ha gonfiata. Profuma di carne sommata all’odore
dei clienti che si sono stampati sopra e della strada, è praticamente nuda, una
sottile fascia aderente fucsia shocking alla vita ed intorno ai seni, la pelle
brunita luccica viva.
Mangia velocemente i panini poi si scrolla le briciole dai
seni, beve un sorso d’acqua, si alza per andare a pisciare dietro un cespuglio
e torna a sedersi.
Sulla strada il traffico scorre fitto e veloce su ambo i
sensi, il rombo dei motori strumentato dalle cilindrate si orchestra in
sinfonia, i violini delle utilitarie, le trombe delle mezze cilindrate, i
tromboni delle gran turismo, i rullii dei camion ed i contrabbassi dei tir, i
fagotti e controfagotti di moto e motorini, gli oboi dei fuoristrada, i flauti
dei bolidi, le arpe dei motori sgangherati, viole e violoncelli di pullman e
corriere…un immenso organo dalle infinite canne che divorano benzina e sfiatano
biossido di carbonio continuamente, senza pausa.
La dea ha steso una striscia di coca su uno specchietto e se
la tira di gusto con un dieci euro arrotolato. Ne lascia una punta che mi
passa: “Toh, fare anche tu, diventare allegro:”
“No…l’altra volta erano plagine tritate ed ho starnutito due
giorni di seguito.”
“Oh, coca, plagine, cosa importare?” si sniffa anche quello
poi ripone lo specchio nella borsetta e si rilassa appoggiando la schiena
all’albero.
Di fronte la strada: “Oggi essere tanti, essere vita, andare
venire, sembra fiume, io conoscere tutti, guardare quello…” dice indicando il
conducente di una grossa Mercedes nera nuova, “ stamattina già venuto una volta e adesso
volere ancora, fare sempre succhiare cazzo e pagare doppio perché avere fiato
che puzza…e quello…” indica un tipo sopra un camioncino carico di attrezzi, “quello avere moglie che bastona e con me fare
sempre prepotente, per finta però, non fare altro, solo prepotente, conoscere
tutti, chi piace culo, chi bocca, chi così, chi cosà…anche chi non conoscere
sapere, essere tutti uguali e fare sempre pagare prima poi lavoro, quello…” un
tipo grasso e rubicondo su un motorino sgangherato che passa lasciando una
spessa scia di fumo, “quello piacere
fare seghe e mettere dito in culo e intanto scoreggiare, pagare poco ma passare
quasi tutti i giorni e fare presto e quelli…” una macchina della polizia che
sfreccia veloce, “quelli avere niente da
fare tutto il giorno, passare sempre
davanti puttane a darsi arie e volere succhiare cazzo gratis, sbirri tutti
delinquenti e quello, ” un anziano corpulento alla guida di una lussuosa Audi, “quello ogni tanto fermare macchina, mettere
testa fuori dal finestrino e sputare per terra e quello…
La interrompo. “Uffa, dici sempre le stesse cose, insomma li
conosci tutti, passano sempre di qui?”
“Sempre, certi avere niente da fare e andare avanti indietro
tutto il giorno, chissà chi pagare benzina, avere tutti faccia come culo, bene
davanti a male dietro, con famiglia essere maiali e con puttana porci.”
“Intanto pagano.”
“Cos’essere pagare? Avere soldi altrimenti non dare, io
dovere comprare tomba per tutta famiglia, non fare per niente. Solo tu non
essere come loro, essere sempre uguale, nulla avere importanza, come fare a
vivere?”
“Non ho ambizione di comprare una tomba.”
“Tu dire male, cosa fare da vecchio, dove finire tue ossa, mangiare
cani? Tomba essere importante, a paese tutti volere tomba, padrone di cimitero
essere vero capo di villaggio, lui dato soldi per venire, tu non sapere come
essere da noi!”
“Tutto il mondo è paese… però è comico dare tanta importanza
a niente.”
“Cosa essere niente? Essere ignorante, non pensare a dopo?
Anime di morti essere come cani senza tomba e poi essere stregoni che fare
magia e fare camminare morto in paese sottoterra dove avvenire orrori da non
dire, venire capelli dritti.”
“Perché non li ammazzate questi stregoni?”
“Chi conoscere? Buoni dire non essere cattivi, essere chi
protesta ma poi trovare morto con palo nel culo e senza più goccia di sangue, gente
dire che stregoni avere esercito di zombie nascosto e mandare a quelli che
avere testa con gazzelle e fare brutta fine…”
Un soffio di vento scombussola le ultime parole della dea, sulla
strada le auto si stanno diradando, l’aria pesante e grigia, le cicale tutte
zitte.
“Anche oggi funerale!” esclama la dea.
“Nomini il diavolo e quello…”
Silenzio…dal fondo della strada appare il povero cristo
trascinando la croce sulle spalle e dietro la tripla fila con la centrale che
trascina i cadaveri di lusso, è tutto un trascinamento, la croce, i piedi dei
cadaveri che strisciano l’asfalto, i passi sferzanti delle file laterali.
Nell’altro mondo del non essere la finestra è aperta sul
deserto, onde di sabbia maestose percorrono lo spazio da qui all’orizzonte
della storia, la nave galleggia immobile sopra la tempesta di sabbia, la vela è
tesa ma nulla si muove.
Il fuoco sul sarcofago avvampa, modellarlo è piacere, un
soffio qui, una carezza là LA PASSIONE
AVVAMPA INCURANTE DEI VENTI CONTRARI, la
vita, identità fondamentale, cos’è?
La stanza è piena di storie uscite dalla pila di libri che
svolazzano qua e là come farfalle in cerca di un fiore dove posarsi, arte fuori
dal bene e dal male, giudizio a priori non è, la ragione anima il programma, l’idea
è origine e la forma cresce e si aggiorna spontaneamente.
Contra punctum
Finalmente trovammo sollievo al calore ed alla sete che ci
stavano uccidendo, avevamo la testa che ronzava, la pelle ustionata dal sole, gli
occhi abbagliati. Come entrammo nel cubo la porta si richiuse automaticamente e
si bloccò, avemmo l’impressione di vedere una forma scura somigliante al
rabbino che si allontanava velocemente scomparendo nell’oscurità che ci stava
davanti.
Il cuore batteva rimbombandoci nella testa, rimanemmo
qualche minuto immobili per riprendere fiato e calmarci.
Ogni cellula del nostro essere era assetata e desiderosa di
bere, il buio da impenetrabile stava svanendo dirigendosi verso un debole chiarore
sullo sfondo. Ai lati la forma vaga delle pareti si allargava verso la luce, i nostri occhi si
stavano aprendo e l’udito percepì il suono distinto di una cascatella d’acqua.
Facemmo un passo nella direzione ma trovammo il vuoto e precipitammo a
capofitto giù da una china, rotolare balzare ruzzolare, i sensi distorti, sentivamo
il pavimento e le pareti della grotta franare verso l’alto, l’eco rimbombare di
gemiti, fantasmi impercettibili sogghignarci sulla pelle, battemmo la testa e
probabilmente perdemmo i sensi e quando aprimmo gli occhi ci ritrovammo in una
immensa caverna dal soffitto a cupola rischiarata da…calma, procediamo con
ordine, quello che vedemmo trascende la ragione umana e descriverlo è pura
pazzia.
Il totem
L’acqua sgorgava dal pavimento formando un piccolo laghetto
nel mezzo del quale c’era un isolotto conico dalla punta arrotondata con sopra
…i nostri occhi non volevano credere e si rivolsero all’acqua dove ci tuffammo
per placare la sete e rinfrescarci. Per esperienza bevemmo a piccoli sorsi, il
liquido era fresco e limpido, lo trovammo più buono del miglior vino che
avessimo mai bevuto.
Il laghetto formava un cerchio perfetto, era poco profondo e
la polla che lo alimentava faceva vibrare l’acqua in giocose vibrazioni d’onda
che rimbalzavano tra la sponda e l’isola da cui distava circa cinque metri.
Nella penombra che illuminava la grotta le immagini apparivano distorte e
tremolanti, sul rialzo dell’isola c’era la forma aggrovigliata di un gruppo di
corpi antropomorfi che circondavano un palo su cui era conficcato dall’ano alla
bocca uno scimmione glabro che subito classificammo come una specie preumana, aveva
i muscoli rattrappiti dal dolore, si trattava di una scultura ma era talmente
perfetta da sembrare viva.
Passammo a piedi il laghetto per osservare da vicino il
reperto. Il groviglio di corpi era formato da una decina di ominidi, maschi e
femmine, che si attaccavano al palo con le mani e con la lingua leccavano le
colate di sangue ed interiora che colavano dall’ano squarciato dell’impalato.
L’artefice dell’opera aveva impresso all’atto
una voracità bestiale, i maschi avevano enormi peni eretti e le femmine le
gambe aperte con l’ano e la vagina spalancati ed alcuni copulavano. Una vera e
propria orgia di sangue. Appartenendo ad una cultura che ha fatto di un uomo crocefisso
il proprio ideale di vita, avendo studiato i martirologi e le cronache dei
supplizi e delle torture inflitte agli eretici dall’inquisizione cristiana, la
cosa non ci fece impressione. Quello che impressionava era la perfezione
dell’opera, ogni muscolo, ogni venatura, ogni linea era curato nei minimi
particolari.
Non senza apprensione avvicinammo una mano per toccare la
statua. Il tempo aveva sbiadito i colori che apparivano grigio lattiginoso, i
polpastrelli incontrarono una materia tenera, quasi gommosa, sembrava tufo ma
all’unghia non cedeva dimostrando la consistenza della pietra. Avemmo
l’impressione di un leggero tremito nella materia inanimata e che qualcosa
singhiozzasse, qualcosa di molto lontano nello spazio che il tempo trascinava
nel presente.
Alzammo gli occhi per guardare l’impalato, il muso
scimmiesco era stravolto dal dolore, dalle labbra sporgeva la lingua gonfia
insieme alla punta del palo. Aveva le mani legate dietro la schiena ed il corpo
irrigidito con il collo gonfio e la testa storta all’indietro. Lo toccammo e con
sorpresa sentimmo un crac! immediato alla base, il palo si ruppe e l’impalato
crollò a terra andando in frantumi . Senza sensi di colpa tornammo sulla riva
per esplorare la grotta, in quel momento in noi era accesa la curiosità
professionale e non vedevamo altro, avevamo la certezza d’aver fatto una scoperta sensazionale.
Ci trovavamo al centro di una grotta immensa e circolare, la luce proveniva da dei sarcofaghi
aperti intorno al lago e da nicchie
disposte alla base delle pareti. Cercammo la porta da cui eravamo
entrati e capimmo subito che ogni ritorno c’era negato. La cosa non ci spaventò,
eravamo senza cibo in un luogo che poteva essere popolato solo da fantasmi, fuggivamo
la nostra vecchiaia per anticipare una morte che sapevamo prossima ed il fato
ci aveva offerto una fine in bellezza.
Quale morte migliore per un archeologo se non sul proprio
campo di battaglia?
Ci avvicinammo ai sarcofagi per esaminarli e subito
inciampammo cadendo sulla sabbia
polverosa del pavimento. Per un attimo ci sentimmo afferrare da miliaia di
artigli, mantenemmo la calma e la sensazione svanì, aprimmo gli occhi ed
incontrammo lo sguardo di due orbite vuote in un teschio deforme e
sghignazzante. Tutto il pavimento della grotta era cosparso di scheletri interi
ed a pezzi, erano semi sommersi dalla sabbia in certi punti sovrapposti a
strati gli uni sugli altri aggrovigliati in macabri abbracci, molti con le
mandibole spalancate sulla gola di altri come se la morte li avesse colti
nell’ultimo pasto. Ci alzammo e raccogliemmo il teschio per esaminarlo. Subito
la mandibola si staccò cadendo e polverizzandosi a terra. Quel che rimaneva ci
si disfaceva nelle mani come sabbia in una clessidra, la forma era umana o
molto simile, le orbite degli occhi più piccole e ravvicinate, la calotta larga
e spessa, i denti grossi con i canini pronunciati.
Da quanto tempo e come? Dovevano essere miliaia di anni, potabilizzammo
un luogo dove venivano buttati i morti o i condannati ma che popolo poteva
essere con simili tratti bestiali? Ricordammo un libro scritto da uno studioso
medievale, Scoto Allegrus, che aveva partecipato alla terza crociata ed era
stato catturato e comprato da un egiziano studioso delle piramidi. Fu poi liberato
e tornò in Scozia dove scrisse i resoconti delle ricerche che fece in Egitto
per finire sul rogo come eretico. Tutti
i suoi scritti vennero arsi ma noi riuscimmo a trovarne una copia nei
sotterranei di un vecchio castello scozzese dove pare avesse dimorato ospite di
un barone mecenate che si interessava ai suoi lavori.
Scoto Allegrus era un antropologo linguista, teorizzava di
un popolo prediluviano da cui l’umanità aveva origine che viveva sottoterra in
caverne collegate tra loro in un immenso circuito che collegava l’intera Africa
e che questo popolo continuava a vivere nel presente nascosto negli strati
sommersi del linguaggio formando una ragnatela che avvolgeva l’intero pianeta.
Analizzando le perifrasi, i modi di dire ed i proverbi era riuscito a
tracciarne un identikit e li descriveva come antropofagi suddivisi in dominanti
e castrati ed i primi si cibavano solo ed esclusivamente dei secondi che per
sopravvivere non avevano altre possibilità che mangiarsi tra loro. Avvalorava
la teoria con la scoperta che aveva fatto scavando in una tomba, entrò in un
lungo cunicolo che portava in una grotta dove trovò degli scheletri fossili
antropomorfi e li descrisse con ossa spesse e tozze, crani deformi , orbite ravvicinate e lunghi
canini da vampiro. Profetizzava che un giorno questo popolo sarebbe affiorato
alla volontà degli uomini e ne avrebbe preso il controllo. Scriveva che molti
erano già fuori, che le storie dei lupi mannari e delle streghe ne erano una
prova, che si nutrivano solo di carne umana che avevano simbolizzato nel denaro,
nell’ostia moneta precisamente, il corpo di Cristo. Scriveva che erano stati
tramandati nel linguaggio dagli ebrei che ne erano i diretti discendenti
insieme al peccato originale che ne rappresentava la mentalità ed il comportamento,
parlava di pastori di morti come i dominanti antropomorfi che organizzavano i
popoli come greggi di pecore da tosare e macellare e che sempre gli ebrei, ad
esempio, ne erano le prime vittime.
Concludeva teorizzando che un polo di quel mondo sotterraneo
doveva trovarsi sotto la Sfinge, a Giza, ma sull’ argomento non dette altre
informazioni.
Quel libro ci fece riflettere ma a quei tempi eravamo
giovani ed appassionati e finita la ricerca ne iniziammo un’altra.
I residui del teschio ci scivolarono tra le dita e voltammo
la clessidra verso i sarcofaghi da cui proveniva la luce. In quel momento non
sapevamo ancora che avevamo penetrato la Sfinge, eravamo eccitati, ansiosi di
scoprire cose nuove, tigri affamate nella giungla di novità.
Nota dell’uccellino.
“Chi ha detto che i cannibali sono cattivi? Giudizio a
priori non è, bene e male neppure, il commento è soggettivo solo per il totem, l’oggettività
a cui dà il nome riflette il pensiero nel cavo digerente e come risultato è
merda, la forma del totem.
Nel formicaio non si fa la conta di chi esce e di chi entra,
la formica singolo individuo è un nulla sacrificabile ed ogni nulla è
subordinato alla conservazione della specie e agisce a tale scopo.
La legge del formicaio non è formica e non è formicaio che
sono pura materia, la si osserva dal di fuori, un insieme di regole in un’unica
legge agente che le comprende come il formicaio le formiche o la pellicola
della bolla di sapone l’aria che l’ha gonfiata.
La natura universale è uno spazio limitato dal tempo entro
il quale crescono tutte le specie, le parti dell’universale.
Lo spazio vitale di crescita di una specie è limitato dalla
crescita delle altre, il limite non trascende ed ogni specie ha sviluppato un
particolare comportamento atto a prevenire tale trascendenza allo scopo della
conservazione universale.
La legge di natura è armonia di spazio e tempo e si sviluppa
nel suo tubo digerente, la catena alimentare, gli erbivori limitano lo spazio
dei vegetali, i carnivori quello degli erbivori. Domanda e offerta di cibo è la legge agente, una
guerra perenne dove a evolversi sono sempre gli esemplari migliori, i più
forti.
Nell’armonia universale alcune specie si uniscono in
simbiosi per garantire la propria sopravvivenza, è il caso di tutti quegli
animali che sono allevati dall’uomo a scopo alimentare o per le pellicce, i
circhi ecc.
Nella trascendenza dell’armonia che l’uomo ha forzatamente
introdotto nella natura queste specie sono le più sicure, gli individui al
margine vengono sacrificati ma il nucleo riproduttivo prospera.
L’umanità è un insieme di popoli ognuno dei quali è parte
dell’universale. Ogni popolo ubbidisce alla legge della sopravvivenza della
specie, quando gli spazi sono saturati
scocca il gong del tempo e guerre e rivoluzioni fanno il resto. Non è
bene non è male, i due mondi del non essere prosperano allevati nella credenza
universale.
Il deserto è agitato, onde di sabbia lunghe miliaia di anni
continuano a frangersi sulla spiaggia dello sconosciuto, l’ignoto unico amante per la tigre bramosa, qua e là senza pensiero.
Il problema è la domanda e offerta di cibo, fortunatamente
la dea provvede, ho una scatola piena di preservativi sborrati da pulire.