Capitolo 2. Passim.






          

    

                P a s s i m …  
 
  

 

                                                                                                                     

Ho messo una musichetta allegra, mentre l’acqua scaldava ho visto l’idea di una partita a scacchi tra bianchi e neri ed intanto ragionavo sul percorso del cibo tra la bocca ed il culo frammezzando pensieri cretini sul bene ed il male a cui non davo peso.

Un giorno così, nulla di particolare e tanto meno di universale, nuvole pigre nel cielo appannato di smog, alberi sonnacchiosi ed erba che cresce pian pianino… nessuna propensione alla poesia, i preservativi sono ancora nella scatola in una poltiglia di sperma che il caldo inizia a rendere maleodorante.

Il lavoro va fatto subito, aspettare peggiorerebbe le cose, va fatto bene, su queste cose la dea non transige e poi ci tengo a fare bella figura, la voce si è sparsa e conto di fare nuove clienti e ingrandire l’attività.

Per prima cosa svuoto il contenuto della scatola così com’è dentro una vasca piena di acqua tiepida e detersivo, operazione che chiamo “Schiumaggio” e li lascio in ammollo una mezzoretta per far sciogliere eventuali incrostazioni quindi inizia il lavoro vero e proprio.

I primi tempi usavo i guanti poi l’abitudine ha fatto virtù ed ora è un gioco da ragazzi. Ho fissato un manganello di gomma alla vasca sotto un rubinetto, prendo un preservativo, lo scrollo, lo rovescio e lo infilo nel manganello srotolandolo completamente e lascio che l’acqua gli scorra sopra, certi spermi sono densi ed appiccicosi e per staccarli devo fregare con una spugna, fortunatamente i più vengono via con una semplice passatina delle dita ed il lavoro scorre veloce. Finita l’operazione lo srotolo sfilandolo dal manganello e lo rinfilo dall’altra parte e ripeto la trafila, quindi lo immergo in un’altra vasca con acqua tiepida senza detersivo. Una volta passati tutti, operazione che chiamo: “Sgrossaggio”,  li riprendo nuovamente uno ad uno e li rilavo avanti e dietro ma questa fase si fa in fretta ed  uso direttamente le mani senza infilarli nel manganello. Terminata l’operazione di  “rifinitura” li stendo all’ aria su un filo pinzandoli con della mollette. All’asciugatura segue la  “Riarrotolatura” e la pinzatura nelle bustine.  Ecco fatto!

Naturalmente non sono come i nuovi ma a questo provvede la dea sul momento distraendo il cliente mentre li infila. Certi preservativi, non dico la marca per non fare pubblicità, vengono riciclati nove, dieci ed anche più volte, poi bisogna buttarli.

Mezzogiorno. A quest’ora la dea, se il lavoro glielo permette, si concede una pausa pranzo ed è il momento migliore per incontrarci.

Arrivo in anticipo di qualche minuto e lei non c’è, aspetto fin quando la vedo venir fuori da una macchia d’alberi in fondo al sentiero dove riceve i clienti senza macchina. Un uomo la segue, anziano, magrolino con la barba e spessi occhiali da presbite, ha l’aria soddisfatta e colpevole, passa senza guardarmi e si allontana lungo la strada a passi veloci.

La dea, con la voce ansante, dice: “Che giornata oggi! Essere cuccagna, non stare ferma un minuto, guarda…” scosta un cespuglio vicino e tira fuori una scatola colma di preservativi sborrati. “Essere sempre così fare presto pagare tombe.”

“Sono felice per te, ecco, qui ci sono quelli nuovi.” rispondo porgendole una busta.

“Fare tutto bene? Prima trovato uno con taglio e quello non pagare, tu dovere fare meglio e poi io dare troppo, tu sfruttare, io volere cambiare e dare meno.”.

“Su questo non voglio discutere, ti faccio risparmiare un euro al pezzo ed a una media di sessanta al giorno quello che mi dai è proprio una miseria, dovresti pagare di più, lo merito!”

“Tu dire male, volere fare pappa adesso? Con me non attaccare!”

“Quale pappa, scherzavo, però sui soldi non mi va di scherzare, voglio di più!”

La dea rimane qualche secondo pensierosa e con tono materno dice: “Tu essere proprio scemo o fare? Io capire, non parlare più.”

Prende la busta e mi paga quelli di ieri meno uno poi porgendomi la scatola sborrata dice: “Qui essere settantanove, controlla! Adesso fare pausa, mangiare, basta parlare di soldi.”

“Allora vado.”

“Dove andare? Aspettare, oggi allegra, volere parlare.” prende due panini ed una bottiglia d’acqua da sotto un cespuglio e ci sediamo sull’erba all’ombra di una grande quercia. L’aria è calda, afosa, impolverata dalla strada, al rumore del traffico si aggiungono i grilli, cicale, cinguettii vari ed il gracchiare di un trattore in un campo vicino. Intorno l’erba ed i fiorellini di prato sono tutti calpestati.

Il suo corpo è esuberanza di…non so se esiste la parola, bisognerebbe coniarla, un quid di sesso, peccato, animalità femminile insaziabile trattenute da un senso di colpa invisibile che le fodera come fa la pellicola di una bolla di sapone con il soffio che l’ha gonfiata. Profuma di carne sommata all’odore dei clienti che si sono stampati sopra e della strada, è praticamente nuda, una sottile fascia aderente fucsia shocking alla vita ed intorno ai seni, la pelle brunita luccica viva.

Mangia velocemente i panini poi si scrolla le briciole dai seni, beve un sorso d’acqua, si alza per andare a pisciare dietro un cespuglio e torna a sedersi.

Sulla strada il traffico scorre fitto e veloce su ambo i sensi, il rombo dei motori strumentato dalle cilindrate si orchestra in sinfonia, i violini delle utilitarie, le trombe delle mezze cilindrate, i tromboni delle gran turismo, i rullii dei camion ed i contrabbassi dei tir, i fagotti e controfagotti di moto e motorini, gli oboi dei fuoristrada, i flauti dei bolidi, le arpe dei motori sgangherati, viole e violoncelli di pullman e corriere…un immenso organo dalle infinite canne che divorano benzina e sfiatano biossido di carbonio continuamente, senza pausa.

La dea ha steso una striscia di coca su uno specchietto e se la tira di gusto con un dieci euro arrotolato. Ne lascia una punta che mi passa: “Toh, fare anche tu, diventare allegro:”

“No…l’altra volta erano plagine tritate ed ho starnutito due giorni di seguito.”

“Oh, coca, plagine, cosa importare?” si sniffa anche quello poi ripone lo specchio nella borsetta e si rilassa appoggiando la schiena all’albero.

Di fronte la strada: “Oggi essere tanti, essere vita, andare venire, sembra fiume, io conoscere tutti, guardare quello…” dice indicando il conducente di una grossa Mercedes nera nuova,   “ stamattina già venuto una volta e adesso volere ancora, fare sempre succhiare cazzo e pagare doppio perché avere fiato che puzza…e quello…” indica un tipo sopra un camioncino carico di attrezzi,  “quello avere moglie che bastona e con me fare sempre prepotente, per finta però, non fare altro, solo prepotente, conoscere tutti, chi piace culo, chi bocca, chi così, chi cosà…anche chi non conoscere sapere, essere tutti uguali e fare sempre pagare prima poi lavoro, quello…” un tipo grasso e rubicondo su un motorino sgangherato che passa lasciando una spessa scia di fumo,  “quello piacere fare seghe e mettere dito in culo e intanto scoreggiare, pagare poco ma passare quasi tutti i giorni e fare presto e quelli…” una macchina della polizia che sfreccia veloce,  “quelli avere niente da fare tutto il giorno,  passare sempre davanti puttane a darsi arie e volere succhiare cazzo gratis, sbirri tutti delinquenti e quello, ” un anziano corpulento alla guida di una lussuosa Audi,  “quello ogni tanto fermare macchina, mettere testa fuori dal finestrino e sputare per terra e quello…

La interrompo. “Uffa, dici sempre le stesse cose, insomma li conosci tutti, passano sempre di qui?”

“Sempre, certi avere niente da fare e andare avanti indietro tutto il giorno, chissà chi pagare benzina, avere tutti faccia come culo, bene davanti a male dietro, con famiglia essere maiali e con puttana porci.”

“Intanto pagano.”

“Cos’essere pagare? Avere soldi altrimenti non dare, io dovere comprare tomba per tutta famiglia, non fare per niente. Solo tu non essere come loro, essere sempre uguale, nulla avere importanza, come fare a vivere?”

“Non ho ambizione di comprare una tomba.”

“Tu dire male, cosa fare da vecchio, dove finire tue ossa, mangiare cani? Tomba essere importante, a paese tutti volere tomba, padrone di cimitero essere vero capo di villaggio, lui dato soldi per venire, tu non sapere come essere da noi!”

“Tutto il mondo è paese… però è comico dare tanta importanza a niente.”

“Cosa essere niente? Essere ignorante, non pensare a dopo? Anime di morti essere come cani senza tomba e poi essere stregoni che fare magia e fare camminare morto in paese sottoterra dove avvenire orrori da non dire, venire capelli dritti.”

“Perché non li ammazzate questi stregoni?”

“Chi conoscere? Buoni dire non essere cattivi, essere chi protesta ma poi trovare morto con palo nel culo e senza più goccia di sangue, gente dire che stregoni avere esercito di zombie nascosto e mandare a quelli che avere testa con gazzelle e fare brutta fine…”

Un soffio di vento scombussola le ultime parole della dea, sulla strada le auto si stanno diradando, l’aria pesante e grigia, le cicale tutte zitte.

“Anche oggi funerale!” esclama la dea.

“Nomini il diavolo e quello…”

Silenzio…dal fondo della strada appare il povero cristo trascinando la croce sulle spalle e dietro la tripla fila con la centrale che trascina i cadaveri di lusso, è tutto un trascinamento, la croce, i piedi dei cadaveri che strisciano l’asfalto, i passi sferzanti delle file laterali.

Nell’altro mondo del non essere la finestra è aperta sul deserto, onde di sabbia maestose percorrono lo spazio da qui all’orizzonte della storia, la nave galleggia immobile sopra la tempesta di sabbia, la vela è tesa ma nulla si muove.

Il fuoco sul sarcofago avvampa, modellarlo è piacere, un soffio qui, una carezza là  LA PASSIONE AVVAMPA INCURANTE DEI VENTI CONTRARI,  la vita, identità fondamentale, cos’è?

La stanza è piena di storie uscite dalla pila di libri che svolazzano qua e là come farfalle in cerca di un fiore dove posarsi, arte fuori dal bene e dal male, giudizio a priori non è, la ragione anima il programma, l’idea è origine e la forma cresce e si aggiorna spontaneamente.

 

                                        

                                Contra punctum

 

Finalmente trovammo sollievo al calore ed alla sete che ci stavano uccidendo, avevamo la testa che ronzava, la pelle ustionata dal sole, gli occhi abbagliati. Come entrammo nel cubo la porta si richiuse automaticamente e si bloccò, avemmo l’impressione di vedere una forma scura somigliante al rabbino che si allontanava velocemente scomparendo nell’oscurità che ci stava davanti.

Il cuore batteva rimbombandoci nella testa, rimanemmo qualche minuto immobili per riprendere fiato e calmarci.

Ogni cellula del nostro essere era assetata e desiderosa di bere, il buio da impenetrabile stava svanendo dirigendosi verso un debole chiarore sullo sfondo. Ai lati la forma vaga delle pareti  si allargava verso la luce, i nostri occhi si stavano aprendo e l’udito percepì il suono distinto di una cascatella d’acqua. Facemmo un passo nella direzione ma trovammo il vuoto e precipitammo a capofitto giù da una china, rotolare balzare ruzzolare, i sensi distorti, sentivamo il pavimento e le pareti della grotta franare verso l’alto, l’eco rimbombare di gemiti, fantasmi impercettibili sogghignarci sulla pelle, battemmo la testa e probabilmente perdemmo i sensi e quando aprimmo gli occhi ci ritrovammo in una immensa caverna dal soffitto a cupola rischiarata da…calma, procediamo con ordine, quello che vedemmo trascende la ragione umana e descriverlo è pura pazzia.

 

                                   Il totem


L’acqua sgorgava dal pavimento formando un piccolo laghetto nel mezzo del quale c’era un isolotto conico dalla punta arrotondata con sopra …i nostri occhi non volevano credere e si rivolsero all’acqua dove ci tuffammo per placare la sete e rinfrescarci. Per esperienza bevemmo a piccoli sorsi, il liquido era fresco e limpido, lo trovammo più buono del miglior vino che avessimo mai bevuto.

Il laghetto formava un cerchio perfetto, era poco profondo e la polla che lo alimentava faceva vibrare l’acqua in giocose vibrazioni d’onda che rimbalzavano tra la sponda e l’isola da cui distava circa cinque metri. Nella penombra che illuminava la grotta le immagini apparivano distorte e tremolanti, sul rialzo dell’isola c’era la forma aggrovigliata di un gruppo di corpi antropomorfi che circondavano un palo su cui era conficcato dall’ano alla bocca uno scimmione glabro che subito classificammo come una specie preumana, aveva i muscoli rattrappiti dal dolore, si trattava di una scultura ma era talmente perfetta da sembrare viva.

Passammo a piedi il laghetto per osservare da vicino il reperto. Il groviglio di corpi era formato da una decina di ominidi, maschi e femmine, che si attaccavano al palo con le mani e con la lingua leccavano le colate di sangue ed interiora che colavano dall’ano squarciato dell’impalato. L’artefice dell’opera aveva impresso  all’atto una voracità bestiale, i maschi avevano enormi peni eretti e le femmine le gambe aperte con l’ano e la vagina spalancati ed alcuni copulavano. Una vera e propria orgia di sangue. Appartenendo ad una cultura che ha fatto di un uomo crocefisso il proprio ideale di vita, avendo studiato i martirologi e le cronache dei supplizi e delle torture inflitte agli eretici dall’inquisizione cristiana, la cosa non ci fece impressione. Quello che impressionava era la perfezione dell’opera, ogni muscolo, ogni venatura, ogni linea era curato nei minimi particolari.                        

Non senza apprensione avvicinammo una mano per toccare la statua. Il tempo aveva sbiadito i colori che apparivano grigio lattiginoso, i polpastrelli incontrarono una materia tenera, quasi gommosa, sembrava tufo ma all’unghia non cedeva dimostrando la consistenza della pietra. Avemmo l’impressione di un leggero tremito nella materia inanimata e che qualcosa singhiozzasse, qualcosa di molto lontano nello spazio che il tempo trascinava nel presente.

Alzammo gli occhi per guardare l’impalato, il muso scimmiesco era stravolto dal dolore, dalle labbra sporgeva la lingua gonfia insieme alla punta del palo. Aveva le mani legate dietro la schiena ed il corpo irrigidito con il collo gonfio e la testa storta all’indietro. Lo toccammo e con sorpresa sentimmo un crac! immediato alla base, il palo si ruppe e l’impalato crollò a terra andando in frantumi . Senza sensi di colpa tornammo sulla riva per esplorare la grotta, in quel momento in noi era accesa la curiosità professionale e non vedevamo altro,  avevamo la certezza     d’aver fatto una scoperta sensazionale.

 

Ci trovavamo al centro di una grotta  immensa e circolare,  la luce proveniva da dei sarcofaghi aperti  intorno al lago  e da nicchie  disposte alla base delle pareti. Cercammo la porta da cui eravamo entrati e capimmo subito che ogni ritorno c’era negato. La cosa non ci spaventò, eravamo senza cibo in un luogo che poteva essere popolato solo da fantasmi, fuggivamo la nostra vecchiaia per anticipare una morte che sapevamo prossima ed il fato ci aveva offerto una fine in bellezza.

Quale morte migliore per un archeologo se non sul proprio campo di battaglia?

Ci avvicinammo ai sarcofagi per esaminarli e subito inciampammo  cadendo sulla sabbia polverosa del pavimento. Per un attimo ci sentimmo afferrare da miliaia di artigli, mantenemmo la calma e la sensazione svanì, aprimmo gli occhi ed incontrammo lo sguardo di due orbite vuote in un teschio deforme e sghignazzante. Tutto il pavimento della grotta era cosparso di scheletri interi ed a pezzi, erano semi sommersi dalla sabbia in certi punti sovrapposti a strati gli uni sugli altri aggrovigliati in macabri abbracci, molti con le mandibole spalancate sulla gola di altri come se la morte li avesse colti nell’ultimo pasto. Ci alzammo e raccogliemmo il teschio per esaminarlo. Subito la mandibola si staccò cadendo e polverizzandosi a terra. Quel che rimaneva ci si disfaceva nelle mani come sabbia in una clessidra, la forma era umana o molto simile, le orbite degli occhi più piccole e ravvicinate, la calotta larga e spessa, i denti grossi con i canini pronunciati.

Da quanto tempo e come? Dovevano essere miliaia di anni, potabilizzammo un luogo dove venivano buttati i morti o i condannati ma che popolo poteva essere con simili tratti bestiali? Ricordammo un libro scritto da uno studioso medievale, Scoto Allegrus, che aveva partecipato alla terza crociata ed era stato catturato e comprato da un egiziano studioso delle piramidi. Fu poi liberato e tornò in Scozia dove scrisse i resoconti delle ricerche che fece in Egitto per  finire sul rogo come eretico. Tutti i suoi scritti vennero arsi ma noi riuscimmo a trovarne una copia nei sotterranei di un vecchio castello scozzese dove pare avesse dimorato ospite di un barone mecenate che si interessava ai suoi lavori.

Scoto Allegrus era un antropologo linguista, teorizzava di un popolo prediluviano da cui l’umanità aveva origine che viveva sottoterra in caverne collegate tra loro in un immenso circuito che collegava l’intera Africa e che questo popolo continuava a vivere nel presente nascosto negli strati sommersi del linguaggio formando una ragnatela che avvolgeva l’intero pianeta. Analizzando le perifrasi, i modi di dire ed i proverbi era riuscito a tracciarne un identikit e li descriveva come antropofagi suddivisi in dominanti e castrati ed i primi si cibavano solo ed esclusivamente dei secondi che per sopravvivere non avevano altre possibilità che mangiarsi tra loro. Avvalorava la teoria con la scoperta che aveva fatto scavando in una tomba, entrò in un lungo cunicolo che portava in una grotta dove trovò degli scheletri fossili antropomorfi e li descrisse con ossa spesse e tozze,  crani deformi , orbite ravvicinate e lunghi canini da vampiro. Profetizzava che un giorno questo popolo sarebbe affiorato alla volontà degli uomini e ne avrebbe preso il controllo. Scriveva che molti erano già fuori, che le storie dei lupi mannari e delle streghe ne erano una prova, che si nutrivano solo di carne umana che avevano simbolizzato nel denaro, nell’ostia moneta precisamente, il corpo di Cristo. Scriveva che erano stati tramandati nel linguaggio dagli ebrei che ne erano i diretti discendenti insieme al peccato originale che ne rappresentava la mentalità ed il comportamento, parlava di pastori di morti come i dominanti antropomorfi che organizzavano i popoli come greggi di pecore da tosare e macellare e che sempre gli ebrei, ad esempio, ne erano le prime vittime.

Concludeva teorizzando che un polo di quel mondo sotterraneo doveva trovarsi sotto la Sfinge, a Giza, ma sull’ argomento non dette altre informazioni.

Quel libro ci fece riflettere ma a quei tempi eravamo giovani ed appassionati e finita la ricerca ne iniziammo un’altra.

I residui del teschio ci scivolarono tra le dita e voltammo la clessidra verso i sarcofaghi da cui proveniva la luce. In quel momento non sapevamo ancora che avevamo penetrato la Sfinge, eravamo eccitati, ansiosi di scoprire cose nuove, tigri affamate nella giungla di novità.
 
 

 

                       Nota dell’uccellino.


 

“Chi ha detto che i cannibali sono cattivi? Giudizio a priori non è, bene e male neppure, il commento è soggettivo solo per il totem, l’oggettività a cui dà il nome riflette il pensiero nel cavo digerente e come risultato è merda, la forma del totem.

Nel formicaio non si fa la conta di chi esce e di chi entra, la formica singolo individuo è un nulla sacrificabile ed ogni nulla è subordinato alla conservazione della specie e agisce a tale scopo.

La legge del formicaio non è formica e non è formicaio che sono pura materia, la si osserva dal di fuori, un insieme di regole in un’unica legge agente che le comprende come il formicaio le formiche o la pellicola della bolla di sapone l’aria che l’ha gonfiata.

La natura universale è uno spazio limitato dal tempo entro il quale crescono tutte le specie, le parti dell’universale.

Lo spazio vitale di crescita di una specie è limitato dalla crescita delle altre, il limite non trascende ed ogni specie ha sviluppato un particolare comportamento atto a prevenire tale trascendenza allo scopo della conservazione universale.

La legge di natura è armonia di spazio e tempo e si sviluppa nel suo tubo digerente, la catena alimentare, gli erbivori limitano lo spazio dei vegetali, i carnivori quello degli erbivori.  Domanda e offerta di cibo è la legge agente, una guerra perenne dove a evolversi sono sempre gli esemplari migliori, i più forti.

Nell’armonia universale alcune specie si uniscono in simbiosi per garantire la propria sopravvivenza, è il caso di tutti quegli animali che sono allevati dall’uomo a scopo alimentare o per le pellicce, i circhi ecc.

Nella trascendenza dell’armonia che l’uomo ha forzatamente introdotto nella natura queste specie sono le più sicure, gli individui al margine vengono sacrificati ma il nucleo riproduttivo prospera.

L’umanità è un insieme di popoli ognuno dei quali è parte dell’universale. Ogni popolo ubbidisce alla legge della sopravvivenza della specie, quando gli spazi sono saturati  scocca il gong del tempo e guerre e rivoluzioni fanno il resto. Non è bene non è male, i due mondi del non essere prosperano allevati nella credenza universale.

 

Il deserto è agitato, onde di sabbia lunghe miliaia di anni continuano a frangersi sulla spiaggia dello sconosciuto,  l’ignoto unico amante per la tigre bramosa,  qua e là senza pensiero.

Il problema è la domanda e offerta di cibo, fortunatamente la dea provvede, ho una scatola piena di preservativi sborrati da pulire.